Genesi, anatomia e dettagli preziosi di un capolavoro dell’arte armiera
Di Roberto Allara
Fucili express sono correntemente in catalogo da parte di alcuni produttori nazionali ed esteri. Dobbiamo distinguere, tra questi, la produzione d’élite destinata ad alcuni facoltosi gentiluomini che avranno la gioia di accarezzare un fucile di altissimo livello, e quella più corrente, magari in calibri per caccia europea al cinghiale, o all’orso in Transilvania, destinata ad un uso effettivo e costante sul terreno di caccia, senza il ricorso a un boy portafucile. Tra i primi si colloca l’Express dei Fratelli Rizzini di Magno. La base di partenza è presto detta: devo avere già scritto in qualche articolo, quando il sovrapposto e l’express erano ancora in gestazione, che nella canna liscia i fratelli Rizzini costruiscono le migliori doppiette del mondo. Punto. Il loro fucile Express è raffrontabile per finezza di esecuzione ai migliori esemplari inglesi dell’epoca d’oro ma con tutti gli aggiornamenti che le nuove tecnologie ed i nuovi brevetti del costruttore consentono di esprimere. Questi Express rappresentano lo stato dell’arte, al momento insuperabile da chiunque. Il fucile che vedete fotografato è in calibro per la caccia africana, ma se avete tempo e pazienza i Fratelli Rizzini lo possono realizzare in qualunque calibro preferiate. La pazienza non sarà poca, perché per alcuni calibri occorrerà ridimensionare bascula e croce e magari si renderà necessario il ridisegno di alcuni componenti, che progetteranno e realizzeranno da par loro, magari dando origine a nuovi brevetti perché quando i Rizzini si occupano di un componente dei loro fucili lo fanno per migliorare ulteriormente, se possibile, una meccanica già straordinaria.
Perché un fucile a due canne giustapposte
Il fucile a due canne trae le sue origini dall’epoca dell’avancarica. Se la ripetizione del colpo richiede una lenta ricarica, per averne un altro a disposizione in tempi brevi l’unica cosa da fare è aggiungere una canna. Per la verità si provò ad aggiungerne più d’una: ma la complessità della costruzione, la fragilità delle complesse batterie, e non ultimo il peso in volata che rendeva difficile il brandeggio, fecero scegliere il fucile a due canne giustapposte come il miglior compromesso. Giustapposte, non sovrapposte, perché una batteria per un’arma a luminello a canne sovrapposte presenta delle oggettive difficoltà. È vero che da un raffinato collezionista portoghese – non ne farò il nome, ma è quel signore che possiede l’armatura di Emanuele Filiberto di Savoia, poi appartenuta a Sebastiano I del Portogallo; chi ha frequentato abbastanza a lungo i grandi collezionisti lo riconoscerà – ho visto un fucile a pietra a quattro canne, ma la raffinatezza dell’esecuzione ne fa un esemplare unico, realizzato su ordinazione per un facoltoso committente, mentre lo stato di conservazione mostra che verosimilmente non fu mai impiegato a caccia.

Con l’introduzione della retrocarica, il fucile giustapposto si era ormai affermato. Si volle perfezionarlo fino ai massimi livelli, e si ebbero i cani interni, le stanghette di sicurezza, i cani a rimbalzo, gli estrattori automatici, e via via fino al fucile self opening. Poche volte nella storia tanta intelligenza e maestria sono state riversate su un solo prodotto. Le soluzioni possibili per due colpi di grande potenza sarebbero state molteplici. Ad esempio, un fucile giustapposto a blocco cadente sarebbe brutto e sgraziato ma, anche nella versione Sharps-Borchardt, semplice da realizzare e di grande rusticità.

Tuttavia queste soluzioni meccaniche alternative non vennero studiate – chi andava a caccia in Africa ci andava anche in Scozia, e si era abituato alla doppietta – e oggi il fucile basculante a canne rigate, di grosso calibro, che spara una palla lenta e pesante, è così legato ai tempi d’oro e alla concezione sportiva della caccia africana che non si può prescindere da quel tipo di costruzione, estesa in seguito anche ai calibri europei e coloniali (.303 British, ad esempio).
L’incontro con un animale pericoloso è sempre possibile anche per chi non lo cerchi: pensiamo a quegli americani dell’Alaska che si imbattano in un grizzly, o anche solo all’incontro con un cinghiale, che può addirittura avvenire in città, o con un branco di lupi, già avvistati anche in pianura. Oggi una certa caccia alla deliberata ricerca di un animale che può essere pericoloso è sempre più difficile praticarla, ma ci sono ancora gentiluomini che ci provano, ed è per quei gentiluomini che l’express è stato concepito.
Racchiudendo in sé l’esperienza e la maestria dei grandi armaioli inglesi dei tempi d’oro, e per via delle condizioni estreme nelle quali deve garantire un sicuro funzionamento, l’express oltre che un fucile diverso, che racchiude due armi monocolpo in una, è un fucile fine, anzi finissimo, anche se ci dovremmo chiedere quanto certe soluzioni siano un mero preziosismo tecnico oppure, come nel caso del fucile che vedete, un effettivo e definitivo miglioramento di certe funzioni dell’arma o di certi aspetti dell’estetica.
Quanto alla scelta delle canne giustapposte, bisogna considerare che in certi tipi di caccia le distanze si misurano in passi, mai molti; si tira quasi di stocco. La doppia canna, con l‘avvallamento che si trova tra le volate, è un formidabile aiuto per il tiro istintivo.
Quanto deve essere fine un fucile express?
La finezza della costruzione non deve sempre e solo essere riferita all’impostazione progettuale del fucile – demibloc integrale e così via – ma è qualcosa che si annida nei dettagli. Bisogna anche precisare che un fucile fine non è necessariamente un fucile elegante, benché naturalmente quello dei fratelli Rizzini lo sia. Per esempio, non bisogna sacrificare all’eleganza la lunghezza della tavola di bascula, che deve essere quanto più lunga è possibile. Compatibilmente, è chiaro, con un oggetto che non deve suscitare repulsione al solo vederlo, ma lunga. Il motivo è semplice. Al momento dello sparo il fucile tende ad aprirsi, e le canne vibrano. Abbiamo una leva del primo genere che ha la potenza nella canna, il fulcro nel perno e la resistenza nel chiavistello di chiusura. La potenza varia con il procedere della palla nella canna e con l’espansione dei gas.


Allontanando quanto più è possibile la resistenza dal fulcro, diminuisce lo sforzo che la chiusura deve sopportare.
Oggi un fucile fine è quasi sempre costruito, come si diceva, a demibloc integrale, con batterie sidelock. Così li fanno, ad esempio, i fratelli Rizzini, che tuttavia delle batterie Holland & Holland non sono affatto soddisfatti e ne hanno brevettata una loro, non facile da realizzare ma definitiva. Ne parleremo più oltre, elencando anche qualche altra finezza.
Ma chi ha mai detto che un fucile sistema Anson, magari costruito da Westley Richards, è un fucile grossolano? Se qualcuno vi è stato, si tratta di un incompetente. Non lasciatevi ingannare dalle apparenze. Quanto alla robustezza, è pur vero che una bascula boxlock è molto scavata e con la soluzione droplock, che in quegli scavi deve alloggiare anche due cartelle interne, lo è ancora di più. Ma guardatela con attenzione. Il metallo rimasto è disposto in quattro piloni longitudinali, che hanno la massima resistenza al tipo di sforzo che sono chiamati a reggere. Non occorre disporre di acciaio in eccesso, se si sa bene come impiegarlo. E la bascula Anson – ma il discorso vale per tutti i particolari meccanici di un fucile giustapposto – è stata studiata e progettata quando la metallurgia era ben lontana dai livelli e dai risultati odierni.
La convergenza dei colpi, nella versione in cui la vedono alcuni che vorrebbero che i due colpi realizzassero un solo foro a cinquanta yard, è un clamoroso errore. Due parabole – le traiettorie dei proiettili – possono convergere tra loro in un sol punto, a quella precisa distanza per cui la convergenza è stata calcolata. E se l’animale non ha il fair play di mettersi proprio lì?
La precisione
Un fucile express teoricamente perfetto dovrebbe tirare i due colpi in modo tale che i centri dei due fori lasciati sul bersaglio siano sullo stesso piano orizzontale, e abbiano un interasse quasi esattamente uguale all’interasse delle canne. Solo in questo modo sarà possibile un tiro efficace alle varie distanze: bisognerà calcolare la traiettoria del proiettile per sapere se mirare un po’ più in alto, e di quanto, ma non dovremo interpolare scostamenti in deriva. Ricordiamoci, comunque, che le mire metalliche molto aperte non consentono una collimazione di assoluta precisione, e poi con un animale che carica il tempo speso in collimazione potrebbe essere l’ultimo della propria vita. In caso di necessità, con l’express si tira d’imbracciata, come con la doppietta a canna liscia. Tutti gli express vecchi o attuali di buona qualità – gli altri non dovrebbero esistere – possono mettere due colpi in un pompelmo a cento metri: ce n’è d’avanzo. Non si tratta di realizzare la mouche in poligono, ma di difendersi da un animale pericoloso. La precisione assoluta, per chi va a caccia con un express è un preziosismo del tutto insignificante. Deve costituire uno dei corretti obiettivi del costruttore, ma non è la presenza o meno di quella precisione che fa l’arma per la caccia. Se quello che cerchiamo è il bel tiro, ci sono i fucili sniper e i poligoni: per simulare l’elefante basta mettere un bersaglio più grosso. E se proprio rifiutiamo il bersaglio di cartone, ebbene, la gallina a 150 metri è più difficile del nyala a 200, e la pericolosità è più o meno la stessa.

Per certi versi il fucile basculante è un assurdo meccanico e qui sarà il caso di chiarire, fermo restando che questo assurdo meccanico ha un fascino irresistibile ed è la somma del sapere e della dedizione profusi nell’arco di quasi un secolo e mezzo. Quando per agire efficacemente su puntoni, che sporgono dalla parte anteriore della bascula per pochi millimetri, si deve far ricorso ad una leva di sessanta o settanta centimetri – la lunghezza delle canne – tutto ciò vi pare razionale? E quando vogliamo sparare cartucce di alta potenza con tiri fino a 70-100 metri, la scelta di un sistema progettato per cartucce calibro 12, con camera da 65 millimetri e con tiro utile fino a 35 metri circa, vi pare la migliore?

D’altra parte questa irrazionalità meccanica non è necessariamente negativa. È proprio su una scintilla di geniale, sublime irrazionalità che si fonda il fascino e di certi oggetti. E di alcune signore.
Parliamo di canne
Nel laboratorio dei fratelli Rizzini c’è un tornio. Normale, vero? Neanche un po’: quel tornio lo hanno modificato loro e, ad esempio, fa anche da foratrice orizzontale per i fucinati. Con le tecnologie attuali, quasi tutte le canne solitamente tirano in modo dignitoso. Solitamente, non sempre. Per provare le canne a fuoco bisogna camerarle, e una realizzazione a regola d’arte e una cameratura va eseguita a mano, con alesatori di sezione crescente, muniti di un precisissimo pilota. Ogni passaggio va controllato e misurato: e se una passata è venuta storta bisogna ricorrere al bareno. Naturalmente, prima bisogna aver controllato che la canna sia diritta, ed eventualmente raddrizzarla al bilanciere. È proprio il largo dispendio di tempo da parte di manodopera specializzata che causa l’alto prezzo di un express ben eseguito.
Prima della prova a fuoco, devono anche essere saldate le bindelle, visto che due canne vincolate in più punti non tireranno mai come due canne libere. Questo è un lavoro delicato, che potrebbe essere eseguito non del tutto correttamente in forza del principio che quello che c’è sotto la bindella non si vede. Nulla di più sbagliato. La bindella posteriore, e quella anteriore con il mirino, devono essere perfettamente accoppiate alle canne. Per saldare, infatti, le canne e le bindelle vanno legate con filo di ferro, e bisogna evitare che le canne si flettano. La saldatura migliore, anche per le bindelle, è sempre quella a bassa temperatura, molto inferiore a quella di rinvenimento dell’acciaio, che non ne altera la struttura. La lega saldante può essere stagno con il 5% di argento, e con del bismuto per abbassare il punto di fusione; oggi vi sono leghe che hanno ottima resistenza meccanica e sono completamente liquide a 270 °C. La saldatura a bassa temperatura ad ogni modo è eseguita in forno, con l’uso di un termometro di precisione. Il forno costa, il termometro costa, per raggiungere la temperatura corretta ci vuole tempo e questo contribuisce ad alzare il prezzo del fucile, ma è così che si fa.
La regolazione del tiro

Se le canne provate a fuoco non tirano come si desidera, vanno corrette, e questo si può fare in due modi: quello giusto e quello sbagliato. Per forza di cose il modo sbagliato è il più adottato, e comprende soluzioni che vanno dall’inserire un cuneo tra le canne, all’inserire un tassello maggiorato al centro delle stesse, secondo la correzione che si vuol dare. Una variante criminale di questo sistema prevede che vengano deformati a lima, nel senso voluto, gli ultimi cinque millimetri di una delle due canne. Questa è la variante più facile da rilevare: quando il vostro fucile, al momento dello sparo di una delle due canne, “tira” decisamente da una parte, è molto probabile che l’aggiustaggio del tiro sia avvenuto in quel modo. Attenti, tuttavia, a non lasciarvi confondere dalla naturale deriva dovuta alla rigatura, che in ogni caso è molto meno violenta.
Il modo giusto è quello dei fratelli Rizzini: le canne tirano bene da subito. Stefano Rizzini mi ha spiegato come fanno, al contempo generando la convergenza a 36 metri, ma ho promesso di non pubblicarlo e mantengo la parola.
Quante chiusure?
Una triplice ben eseguita, unita a una duplice Purdey impeccabile, è sufficiente per qualsiasi calibro umanamente sparabile con un fucile. Ulteriori chiusure, come la quadruplice Varriale o addirittura certe quintuplici, non servono e generalmente indeboliscono l’arma, con effetto opposto a quello desiderato.
I trucchetti sleali
Qui non ce ne sono, ma c’è chi li pratica; mi limiterò a citarne due che vi serviranno per distinguere un express come questo da una realizzazione criminale. Ad esempio, è con lo scorretto assemblaggio dell’astina che vengono realizzate delle chiusure apparentemente incrollabili, che tuttavia non resistono ai primi colpi. Se lo smontaggio dell’astina è difficoltoso, e se lo sgancio chiude con difficoltà, incominciate a diffidare. Talvolta si fa forzare la chiusura dell’astina contro il suo ramponcino. In questo caso l’astina “tira” i ramponi delle canne contro gli scassi della bascula, nasconde i giochi e tutto l’insieme sembra solido senza esserlo.

Per verificare se una chiusura è stata eseguita a regola d’arte, senza trucchi, dovete smontare l’astina, impugnare il fucile con la mano destra, reggere le canne con la sinistra tenendole sollevate, agire sulla chiave come se doveste smontare il fucile e provare a smuovere le canne. Se il tutto è fermo, la chiusura tiene. Non è detto che sia realizzata e aggiustata alla perfezione, ma qualche punto di contatto tra le superfici interessate c’è. Controllate anche l’unione della batteria alla bascula. Se il bordo della batteria è contornato da una riga pesante, smontate le batterie ed esaminatele con attenzione. Se il profilo di una batteria non è stato realizzato alla perfezione, per ottenere l’aggiustaggio è sufficiente montare la batteria e martellare i bordi. Il metallo fluisce sotto il martello, i bordi si espandono e l’aggiustaggio è realizzato. Una rapida passata alle carte, che i Rizzini non fanno perché le superfici piane delle loro armi sono tirate a pietra, e l’incisione coprirà tutto. Saper lavorare a martello non è facile, e se l’aggiustaggio è già quasi perfetto questo metodo non rappresenta necessariamente una grave slealtà.

Se invece l’aggiustaggio è trasandato, non si possono picchiare le batterie con la mazza da cinque chili. In questo caso è l’incisore che, realizzando una linea di contorno profonda e pesante, sposta il metallo e realizza l’accoppiamento. Ma un fucile così mal realizzato in queste parti, lo sarà verosimilmente anche in altre, ed è bene diffidarne.
Le batterie
Sulle batterie di un express c’è poco da dire: generalmente a molla indietro per non indebolire la bascula. Su questo genere di fucili non si realizzano batterie Anson con finte cartelle per lasciare spazio all’incisione. Questa è il complemento estetico di un fucile, ma nel caso dell’express non ne costituisce il pregio, che è dato invece dall’impeccabile lavorazione delle parti.
Una buona batteria deve avere i cani a rimbalzo e la doppia stanghetta di sicurezza, e se ben realizzata non ha necessità di sistemi particolari che impediscano la partenza accidentale di entrambi i colpi, tanto più che è bene che gli scatti non siano leggerissimi. Se qualcuno li vuole, tuttavia, essi non disturbano. Tutte le superfici dei componenti devono essere rettificate a mano con la massima cura, e lo strisciamento dei pezzi deve avvenire con dolcezza, con la sensazione dello strofinare tra loro due cubetti di ghiaccio e senza alcun gioco. I piani devono essere perfetti e gli spigoli vivi, netti e senza incertezze. Una batteria così costruita, finita ineccepibilmente, con i pezzi imperniati per il minimo sforzo in armamento, è un capolavoro di meccanica, e potrà funzionare per anni senza bisogno di smontaggi. Tuttavia, le batterie Holland & Holland, tanto osannate soprattutto da quelli che le comprano già fatte, per i Rizzini non sono abbastanza buone. La loro soluzione prevede che briglia e cartella siano realizzate in un sol blocco. Aggiustare i componenti in uno spazio così ridotto, dovendo anche rifinire la superficie interna della batteria, è alla portata di pochissimi e per quanto ne so nessuno ci ha mai provato. Loro ci riescono.
Le mire
Devono essere metalliche. Non ci vengano a raccontare la storia – vera, peraltro – che un sistema ottico consente una collimazione più veloce. I Rizzini hanno realizzato appositi attacchi che ho visto semilavorati e sono i più bassi sull’asse delle canne; adatti quindi a un’ottica da battuta che su un express è l’unica che abbia un senso. Ma le mire metalliche ci devono essere. La tacca di mira deve essere abbastanza aperta, per consentire una collimazione veloce, e dovrebbe essere realizzata con una sola foglietta, anche se di solito si vedono due fogliette corrispondenti a due diverse distanze di taratura. Una terza foglietta è optional e complica la vita.
Perché le fogliette non dovrebbero essere più di due? Semplice: perché in tal modo la seconda si può addossare alla prima. La foglietta mobile, in ogni caso, dovrebbe avere una base squadrata, a lati ortogonali, sui quali possa agire una molla, in modo tale che sia la posizione eretta che quella di riposo vengano raggiunte con uno scatto netto. Ma anche qui i Rizzini sono intervenuti: la foglietta mobile ha una base eccentrica che la blocca nella posizione voluta. Non ci sono molle che si possano rompere o snervare.
Gli “optionals”
Un fucile può essere costruito con alcuni accorgimenti, per fornire soluzioni accessorie. Quelle, per intenderci, che non influiscono sulle prestazioni del fucile, ma sull’animo del committente. Oggi, ad esempio, un fucile ad anima liscia di qualità fine deve essere munito di estrattori automatici e di monogrillo selettivo, e magari di sicura automatica. La sicura, a rigore, non è un optional, ma vi sono motivi per inserirla in questa parte dell’articolo.
Per quanto riguarda gli estrattori automatici, la scelta è semplice. Ci dovrebbero essere e qui ci sono. Se per cattiva manutenzione non funzionano, restano sempre gli estrattori manuali.


Il monogrillo, altro optional, è stato costruito in molti modi. Normale, selettivo, e addirittura – una contraddizione in termini – a due grilletti. La selezione dell’ordine di sparo in questo caso è ottenuta premendo due volte il primo oppure il secondo grilletto. Su un fucile express non abbiamo strozzature diverse, o cartucce diverse tra prima e seconda canna. Le munizioni, per quanto possibile, devono essere sempre le stesse: quelle per le quali il fucile è stato tarato. Il monogrillo, particolarmente se selettivo, è una complicazione meccanica e non sarebbe male che non ci fosse. Invece è tassativo, e non optional, che il primo grilletto sia snodato, per evitare di ferirsi il dito sparando di seconda canna.
Veniamo alla sicura, punto dolente di molte discussioni. Le sicure possono essere manuali o automatiche, tali cioè per cui il fucile si metterà in sicura al momento dell’apertura delle canne, e tale sicura dovrà essere tolta per esplodere il colpo. La sicurezza automatica non impedirà mai che una persona disattenta si spari in un piede, mentre potrà senz’altro impedire l’esplosione del colpo proprio nel momento meno opportuno. Come diceva quel tale, la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, e qualche volta prende anche la mira.
Un optional classico offerto dai costruttori è la scelta di legni particolari per il calcio e l’astina. Qui bisogna stare molto attenti a non strafare. Se una radica di noce con tonalità mielate è una meraviglia della natura, veramente bella a vedersi, non bisogna dimenticare che il calcio di un express subisce un tormento non indifferente, tanto che viene protetto con accorgimenti particolari: la coda di bascula arriva fino al nasello, e il sottoguardia fino alla coccia. Un calcio di express deve avere una venatura longitudinale in tutta la parte in qualunque modo collegata al metallo. Sarà meno gradevole esteticamente, ma garantirà la robustezza necessaria. Va da sé che l’incassatura deve essere perfetta, senza che si possano notare soluzioni di continuità tra metallo e legno. Quello che conta, nel legno, sono la stagionatura e la finitura. La stagionatura deve essere all’aria, mai a forno, e deve durare almeno 8 anni; a Magno, quando mi hanno fatto vedere il deposito dei legni, non c’era un singolo ciocco con stagionatura inferiore ai 14 anni. La finitura, va da sé, deve essere a olio come fanno i Rizzini sui loro fucili. Non a True Oil o peggio. Ci vuol tempo, vi sono numerosi interventi prima che il legno non assorba più l’olio e tutto questo costa, ma armi del Settecento con legni ancora perfetti dimostrano che il metodo è quello giusto.
L’ultimo optional è costituito dal fucile superleggero. Anche se qualcuno vi dirà – e ha ragione – che il rinculo dei vecchi calibri Nitro Express è meno tormentoso di quello degli equivalenti calibri americani, non bisogna dimenticare che dal .375 in su il rinculo si sente davvero. Tutta la maggiore accelerazione di rinculo dovuta al minor peso si scarica sulla spalla del tiratore, ed il violento spostamento dell’arma rende più lento il ritorno in batteria. Siete proprio sicuri di voler aspettare un certo tempo per riallineare l’arma, prima di poter tirare il secondo colpo a un animale che vi sta caricando?
Alcune finezze, tra le moltissime
Ne cito due, che servono a rendere l’idea della cura costruttiva. Sulla parte interna del coperchio della tabacchiera (a proposito: per aprirlo non serve avere la mano di Ercole con l’unghia di tungsteno; i Rizzini hanno sostituito la molla a lamina con una elicoidale che agisce su un pistoncino) è impresso il punzone dei Fratelli Rizzini, che ricorda molto quello di certi armaioli medievali dopo la peste del Trecento.


Prima, si usavano simboli; famoso il lupo sulle lame grezze di Passau. Ebbene, l’impronta di quel punzone è brunita. Vuol dire che dopo aver finito l’interno dello sportellino si è provveduto a brunire la parte, si è applicato il punzone e si è rimossa la brunitura, che è rimasta solo all’interno dell’impronta. Seconda finezza, ben più impegnativa. All’estremità dell’astina, dove c’è il pulsante del blocco a pompa, si applica un puntalino metallico da incassare perfettamente. Alcuni clienti, che hanno esaminato il fucile con acribìa non sorretta da competenza e disgiunta da un buon paio di occhiali, hanno sostenuto che il puntalino fosse storto. Chi diceva verso destra, chi verso sinistra, tutti erano concordi nell’affermare che quel puntalino era storto, sia pur di pochissimo. Naturalmente non era vero, ma il cliente ha sempre ragione, soprattutto quando ha torto marcio. La soluzione dei fratelli Rizzini è stata di realizzare il puntalino in un sol pezzo con il sistema a pompa. Finire l’interno del puntalino, con spazi limitati, richiede tempo e abilità, ma la soluzione è definitiva. Ecco, tutto il fucile è realizzato, oltre che con assoluta eccellenza meccanica, con raffinatezze dello stesso livello. Se l’ho definito il migliore express al mondo, avevo qualche motivo.